La Dorothy Circus Gallery di Londra è entusiasta di presentare la prima personale in Europa dell’artista americano Matthew Grabelsky.
Con una laurea in Astrofisica e una in Storia dell’Arte (entrambe conseguite con Lode al- l’Università di Houston), Matthew Grabelsky, pittore iperrealista contemporaneo dall’immaginario unico e indubbiamente divertente, porta in scena una serie inedita di di cinque tele ad olio e quattro studi.
Se la scienza, infatti, è il filtro prediletto attraverso il quale guardare la realtà, l’arte ne è lo strumento preferenziale di interpretazione, dice l’artista. E osservando le sue figure mitologiche non è difficile immaginare il perché; dal momento in cui per la prima volta Grabelsky ha avuto il guizzo di animalizzare - perché di questo, e non viceversa, si sta parlando - i personaggi da lui incontrati nella metro di New York, la sua ricerca è andata facendosi sempre più scrupolosa e attenta al dettaglio.
L’occhio scrutatore dell’artista, infatti, si uniforma a quello del fruitore nel momento dell’osservazione delle tele di Grabelsky, quasi che condividessero - pittore e visitatore - per un momento la stessa retina, la medesima, maniacale lente volta ad acuire l’attenzione per il particolare, qui inteso fino all’ultimo pelo di pelliccia.
In una serie inedita di tele e disegni su carta, l’artista ci sottopone questioni annose che non sempre si riducono ad una risposta dicotomica. È la tecnologia responsabile del nostro isolamento? Se non tenessimo gli smartphones in mano, è plausibile immaginare che rivolgeremmo il nostro sguardo in alto, o verso chi ci è seduto accanto?
Una celebre foto scattata tra gli anni ’50 e ’60 raffigura, all’interno di una vagone di treno - non riconoscibile e quindi anonimo tanto quanto possa esserlo una qualunque carrozza di metropolitana - uno stuolo di avventori intenti a leggere un giornale ciascuno per sé.
L’immagine è tornata alla ribalta qualche anno fa, come simbolo dell’interrogativo sull’ef- fettiva deriva anti sociale che apparentemente i nostri cellulari ci hanno spinto ad intraprendere. Con la stessa ironia, Matthew Grabelsky ci regala nelle sue opere uno spaccato di vita comune, sproporzionato in centinaia, se non migliaia, di piccoli momenti ap- partenenti alla quotidianità, replicabili sempre, ma allo stesso tempo irripetibili se man- cati, momenti in cui l’osservazione dell’umanità circostante è opera d’arte che se elaborata con attenzione e fantasia può ricongiungerci con una socialità in avaria, ormai inghiottita dal sistema che ci vuole invece isolati e ipnotizzati.
Deliziosamente stonati nel loro corpo ibridi i personaggi di Grabelsky stimolano la cu- riosità per l’altro, e ci predispongono ad una accettazione e identificazione dei nostri simili nei loro aspetti animali. E altrettanto forte il messaggio animalista, nel rimando dell’autore allo stato di cattività imposta ad animali selvatici come tigri, leoni, coccodrilli... il quale viene enfatizzato alla mansuetudine condizionata dagli spazi sacrificati e condivisi dell’ambiente pubblico Met- ropolitana, sprigionando un risultato reale e surreale al tempo stesso che trasmette la filosofia - e la formazione - del pittore che l’ha dipinto così come un sentimento profondo che spera essere oggetto di riflessione e sensibilizzazione.
Attraverso, e grazie, alla contestualizzazione dell’animale in ambienti a lui non consoni, come la metropolitana o i treni, Grabelsky cerca di sensibilizzare la questione dello sfruttamento degli animali. Per questo motivo, attraverso i suoi contenuti, è risultato oggetto di interesse per l’artista Moby, che come altre celebrità quali Leonardo di Caprio, è partico- larmente legato a temi quali il cambiamento climatico e al maltrattamento degli animali.
Per questo motivo il musicista ha richiesto a Grabelsky di creare la copertina per l’album “Everything Was Beautiful, And Nothing Hurt” del 2018. Ancora una volta Grabelsky, in occasione di questa prima personale in Europa, porterà lo spettatore a porsi dei quesiti su questioni private e pubbliche, collocando l’immaginario in quei luoghi che viviamo tutti i giorni e ai quali forse non prestiamo troppa attenzione.