Antonio Arevalo è poeta, curatore d’arte e organizzatore culturale. Tra le sue raccolte e plaquettes poetiche, in cui spesso si alternano la lingua spagnola e quella italiana, si ricordano: Las tierras de nadie (1980); El Luchexilio (1981), Extraño Tipo (1982), Domus Aurea (1985), Mansión de sombras (1990), Domus Aurea 1-2 (1996). Ha curato importanti esposizioni di artisti contemporanei internazionali in diversi centri e anche presso la prestigiosa Biennale di Venezia. Dal 2014 al 2018 è stato Addetto culturale del Cile in Italia.
“Le terre di nessuno”, una serie di testi poetici dello scrittore cileno Antonio Arévalo, personalità di rilievo nel mondo dell’arte degli ultimi decenni tra l’Italia, sua terra di adozione, e il mondo iberoamericano, e rappresentante di quella cultura dell’esilio che dagli anni settanta in avanti ha trasferito e integrato su scala globale la proposta di un Cile “differente” rispetto alla vulgata degli anni della dittatura e dei suoi strascichi. È una cultura che successivamente, dopo la fine del regime, ha incarnato le istanze di una migrazione intellettuale che ha sempre portato con sé denuncia e libertà, rivendicazione di diritti e doveri, ma soprattutto una sete di confronto e ricerca nei più diversi ambiti artistici. Arévalo incarna tutto questo, in una parabola che continua nell’attualità alla luce di una costante presenza sulla scena dell’organizzazione artistica, della promozione di mostre di caratura internazionale e di altri eventi legati all’identità cilena in Italia e nel mondo; e, naturalmente, nel vivo di una produzione critica e creativa che trova nel passato e nel presente le ragioni di una militanza e di una sperimentazione sempreverdi.
Antonio Arévalo è nato a Santiago del Cile nel 1958. A soli sedici anni abbandona il paese in seguito al colpo di stato del generale Augusto Pinochet. Da questa esperienza dolorosa e senza ritorno è nata una letteratura cilena del destierro, una vocazione alla scrittura che negli anni si è andata emancipando dalle istanze più politiche e compromesse, affrontando i temi più disparati e raggiungendo un livello di maturazione e successo riconosciuti su scala mondiale, di cui l’espressione più compiuta è probabilmente rappresentata da Roberto Bolaño. Proprio l’autore di 2666, peraltro, è stato tra i primi scrittori della diaspora cilena in Europa con cui Antonio Arévalo ha stretto amicizia e condiviso l’esperienza lirica. Giunto a Roma nel marzo del 1975, Antonio si lega fin da subito al folto gruppo di scrittori e artisti ispanici che risiedono nella città eterna, da Hernan Castellano Giron, Eugenio Llona, Rosalba Campra, Ignazio Delogu, Giuliano Mesa, Francisco Smythe, Paulina Humerez e a i “grandi vecchi” come Rafael Alberti e Roberto Matta. Accanto all’attività poetica, infatti, fin dagli anni ottanta ha lavorato nel mondo dell’arte contemporanea come curatore di importanti esposizioni che in buona parte hanno lasciato il segno. Arévalo ha avuto dunque negli anni un ruolo di primo piano nella promozione della cultura iberoamericana in Italia (e viceversa), e in quest’ambito si colloca anche il suo impegno pluriennale presso l’Istituto Italo-Latino Americano di Roma (2003-2009) e soprattutto presso la prestigiosa Biennale di Venezia, dove dal 2001 in avanti è stato in più occasioni Commissario del Padiglione del Cile e dove negli anni successivi ha saputo far conoscere alcuni tra i migliori artisti sulla scena internazionale. Nel 2014 è stato nominato Addetto culturale del Cile in Italia, attività che ha portato avanti fino a marzo del 2018.