Nella società romana arcaica la funzione monetaria era assolta, inizialmente, dal bestiame (pecus), nel senso che, per un certo periodo, tutti i beni e i servizi venivano computati e tradotti in capi di bovini e ovini. Tale valore premonetario del bestiame viene attestato dalla stessa parola latina pecunia, che indica il denaro, la ricchezza, derivante dal vocabolo pecus, cioè gregge. Ritroviamo anche in Cicerone (106 – 43 a.C.) l’originaria etimologia, laddove nel De re publica il famoso oratore tratta del sistema economico vigente in epoca arcaica: “a quel tempo il patrimonio consisteva nel bestiame e nei possessi terrieri, da cui prendevano il nome di pecuniosi quegli uomini che fossero ricchi di bestiame; mentre erano detti locupletes quelli ricchi di terre” (La repubblica, 2, 9, 16).
L’economia premonetale fondata sullo scambio in natura incontrava notevoli limiti e disagi: il bestiame, infatti, non conservava nel tempo lo stesso valore, richiedeva cure e nutrimento ed era esposto ai rischi di deperimento. Si sviluppò, pertanto, la tendenza ad affiancare all’originaria modalità di pagamento in natura l’uso del metallo che, rispetto ai capi di bestiame, presentava i vantaggi della indeteriorabilità, della frazionabilità e dell’assenza di costi di mantenimento. Il metallo più utilizzato era il bronzo (aes), lega disponibile in abbondanza grazie soprattutto alla produzione degli Etruschi i quali sfruttavano i minerali dell’isola d’Elba in Toscana e importavano dalle isole britanniche lo stagno, necessario per l’indurimento del rame.
Nelle transazioni commerciali si diffondeva pertanto l’utilizzo del bronzo che aveva come unità di riferimento la libbra (pari a circa 327 grammi) e i sottomultipli espressi in dodicesimi di libbra o once (1 oncia pari a circa 27 grammi). Le leggi delle XII Tavole, pubblicate intorno alla metà del V sec. a.C., prevedevano il pagamento delle ammende sia in capi di bestiame sia in metalli preziosi e, pertanto, attestano la diffusione del bronzo nella equivalenza monetaria degli scambi: per esempio, un bue valeva 100 libbre di bronzo.
Tale conversione in valore di bronzo spiega l’origine del verbo “stimare”, che deriva dal latino aestimare, cioè fissare il valore in bronzo (aes). Da tale etimologia deriva anche il nome della prima unità monetaria romana, l’asse (as), che aveva in origine il peso di una libbra di bronzo. Il termine aes si rinviene anche in altre parole latine derivate, quali aerarium (erario), luogo in cui lo Stato depositava il Tesoro pubblico, cioè la sua riserva di bronzo, coincidente con il tempio di Saturno, e adaeratio (stima in denaro), termine diffuso in epoca imperiale con il significato di valutazione del salario o dell’imposta in relazione ad un controvalore in moneta.
Marco Terenzio Varrone (116 – 27 a.C.) ci informa, nel De lingua latina, che i Romani avevano l’abitudine di pesare il bronzo nelle operazioni di pagamento. La pesata (pensio) era di certo molto importante, come risulta attestato dalle numerose parole derivate nella terminologia economica dal verbo pendere (pesare): dispensator, l’economo; expensum, il prezzo; expensa, l’acquisto; dispensa, la spesa; dispendium, lo spendere; compendium, l’interesse; libripens, colui che tiene in mano la bilancia durante la vendita per pesare il lingotto che serviva per pagare il venditore, una sorta di pesatore ufficiale, citato già nelle XII Tavole, che presiedeva a ogni atto di compravendita e attestava che il passaggio di proprietà del bene avvenisse per aes et libram, cioè “con il bronzo e con la bilancia”; stipendium, in origine pesata di stips (piccola moneta), poi invalso con l’accezione di tributo e successivamente di soldo militare.
I primi bronzi (VI secolo a.C.) utilizzati nelle transazioni economiche erano pezzi informi allo stato grezzo che venivano definiti, pertanto, aes infectum o aes rude, cioè metallo allo stato bruto, bronzo non lavorato, di peso variabile, talvolta denominato dagli autori latini (Varrone, Cicerone) anche con il termine rudera. Il principale inconveniente di questa forma di pagamento era la necessità di pesare il quantitativo di bronzo per ogni transazione e, pertanto, al fine di ridurre le operazioni di pesatura, i successivi bronzi lavorati (aes factum) avevano forme più precise e regolari, riconducibili il più delle volte a pani e calotte sferiche, definiti panes aeris (pani di bronzo) e lateres (mattoni).
Nel successivo stadio di evoluzione, il bronzo librale assumeva la forma di lingotto rettangolare stampigliato (aes signatum), contrassegnato spesso con l’immagine di un animale (figura di bovino, ovino, suino) e dotato di pre-pesatura del metallo e valore ponderale standardizzato, caratteristiche che ne agevolavano il trasporto e la tesaurizzazione, oltre a semplificare le operazioni di pagamento. Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.), nella Naturalis historia, attribuisce al re Servio Tullio (578 – 539 a.C.) la prima emissione di moneta bronzea con l’introduzione dell’aes signatum: “il re Servio per primo stampigliò l’aes. Timeo tramanda che in precedenza a Roma avessero usato quello rude. Fu stampigliato con la forma del bestiame, donde fu chiamato anche pecunia” (Storia naturale, 33, 13, 43).
Il lingotto controllato e garantito dallo Stato a scopo monetario veniva dunque chiamato pecunia, in quanto corrispondeva al valore del capo di bestiame (pecus). Tale termine designava da quel momento in avanti tutti i tipi di moneta: non a caso in latino l’espressione “battere moneta” si traduce con signare pecuniam. Il lingotto del peso di una libbra diveniva l’unità monetaria di base denominata “asse”, che aveva appunto nella garanzia del peso il valore intrinseco fondamentale. La stampigliatura ufficiale a cura dello Stato facilitava gli scambi commerciali in quanto rendeva inutile la pesata ad ogni operazione, in presenza di una adeguata garanzia in merito a peso, forma e valore del metallo.
Nel corso del IV secolo a.C. veniva introdotto l’aes grave o libralis, un’asse pesante con nominale pari ad una libbra di 327 grammi, moneta bronzea con forma circolare la cui serie più nota reca la testa di Giano bifronte sul dritto e l’immagine della prua di una nave sul rovescio. L’asse librale (as) era suddivisa come la libbra in semis (semiasse, moneta di mezza libbra), triens (triente, un terzo di libbra), quadrans (quadrante, un quarto di libbra), sextans (sestante, un sesto di libbra), uncia (oncia, un dodicesimo di libbra), semuncia (mezza oncia, un ventiquattresimo di libbra). Mentre l’asse librale era una moneta poco funzionale, in quanto veniva prodotta con un diametro di otto centimetri e pertanto creava problemi di trasporto e deposito, i sottomultipli dell’as libralis venivano invece utilizzati correntemente con la funzione di “spiccioli” nelle piccole transazioni quotidiane e il triente (triens) era la moneta di bronzo che veniva messa nella bocca dei defunti affinché essi potessero pagare il loro traghettamento sulla barca di Caronte al di là del fiume infernale Acheronte.