Studi e ricerche degli esperti di assiriologia hanno dimostrato di poter collocare all’interno della civiltà mesopotamica del Vicino Oriente Antico le origini dei principali strumenti economici e finanziari che, introdotti parallelamente alla nascita della scrittura, sono stati progressivamente perfezionati e sono pervenuti fino all’epoca moderna.
Gli scavi archeologici effettuati, nel corso del XIX secolo d.C., in diversi siti della Mesopotamia (area geografica dell’odierno Iraq), tra i quali Ninive (1842), Assur (1847), Uruk (1850), Nippur (1851), Kish (1852), Ur (1854), Larsa (1854), hanno consentito di riportare alla luce, oltre ai templi e palazzi reali della più antica civiltà urbana, risalente alla seconda metà del IV millennio a.C., anche un immenso archivio contenente migliaia di tavolette cuneiformi che hanno tramandato iscrizioni di varia natura, come leggi, decreti, sentenze dei tribunali, testi storici e letterari, di matematica e medicina, inni e preghiere alle divinità, scritti relativi alle produzioni della birra e del vetro, nonché molti altri argomenti connessi ai più diversi aspetti della vita sociale ed economica del Vicino Oriente.
Famosa è divenuta l’epopea di Gilgamesh, opera letteraria risalente al 2500 a.C., divulgata tramite 12 tavolette - circa 3.000 righe - che narrano, tra l’altro, la storia babilonese del Diluvio Universale anticipando di molti secoli l’analoga versione descritta nella Bibbia.
La scrittura ha tuttavia avuto origine per esigenze e finalità prevalentemente economiche, ovvero strettamente correlate con la gestione degli affari contabili e finanziari. È stato infatti calcolato che la maggioranza delle tavolette - in media circa l’80% sul totale ritrovato nei diversi siti archeologici - riporta temi e argomenti di carattere amministrativo ed economico, quali inventari e bilanci, registrazioni di entrate e uscite di beni, transazioni commerciali e finanziarie, assegnazioni di razioni alimentari alla popolazione che prestava lavori obbligatori - cosiddette corvée - a favore dello Stato.
L’antica società mesopotamica era infatti caratterizzata da un elevato livello di “centralizzazione” dei beni, servizi e attività produttive, concentrati nelle mani delle autorità politiche e religiose che gestivano pratiche di “redistribuzione” alla popolazione tramite le assegnazioni di “razioni” di pasti, cibo e altri beni di primaria sussistenza provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, nonché di beni secondari, non alimentari ma molto diffusi nell’utilizzo quotidiano - quali lana e lino per i prodotti tessili -, che consentivano di compensare le prestazioni lavorative con contestuale controllo accentrato del sistema economico.
Le tavolette più antiche furono create a Uruk, Sumer e Susa, intorno al 3500 a.C., dagli scribi che plasmavano l’argilla fresca e inumidita, in modo tale da imprimere ad essa una forma geometrica sulla quale incidere segni con uno stilo di legno caratterizzato da un’estremità arrotondata, per i punti, e da un’altra estremità tagliente, per le linee, che terminava con una sezione a forma di cuneo. Da qui la denominazione di scrittura “cuneiforme”, considerata il primo linguaggio scritto di tutti i tempi.
Negli archivi di tavolette cuneiformi, oggetto di studio e traduzione, sono stati rinvenuti svariati testi in materia di economia, credito e finanza, tra i quali risultano di particolare interesse quelli aventi ad oggetto i prestiti e i tassi di interesse. Nei contratti di finanziamento, i beni più frequentemente oggetto di transazione erano l’argento e l’orzo. L’argento veniva utilizzato con le tipiche funzioni monetarie (mezzo di regolamento, pagamento e prestito, unità di valore, sistema di tesaurizzazione), prima dell’introduzione ufficiale della moneta ad opera del re persiano Dario (522-486 a.C.), che coniò il “darico” aureo. Le barre d’argento erano una sorta di “merce di scambio”, uno standard al quale riferire nel tempo e nello spazio un valore stabile e sicuro, data l’inalterabilità del metallo prezioso.
L’orzo era la base fondamentale dell’alimentazione e il cereale di più ampia disponibilità nel territorio locale: l’orzocoltura era infatti la pratica agricola più diffusa, in quanto l’orzo presentava diversi vantaggi rispetto ad altri cereali, quali la maggiore resistenza alla ruggine, alle malattie e alla salinizzazione, la necessità di minori quantità d’acqua e di minor tempo per la maturazione e la raccolta.
I prestiti d’argento e d’orzo potevano essere remunerati con diversi tassi di interesse, ma anche senza alcun interesse oppure con un corrispettivo diverso dall’interesse vero e proprio; in quest’ultimo caso, si riscontrano i primi contratti di “anticresi”, nei quali l’interesse veniva sostituito dalla concessione di altre utilità, quali la forza lavoro e/o i frutti dei terreni. I tassi medi di norma applicati erano pari, per l’argento, al 20% della quantità prestata e, per l’orzo, al 33%. La misura standard del tasso era determinata da specifiche regole di computo: per il prestito d’orzo si faceva riferimento all’affitto di un campo, pari ad 1/3 del raccolto e quindi al 33% della quantità prestata; per il prestito d’argento, si applicava il rapporto di equivalenza tra 1 siclo (8,3 grammi circa) e 1 mina (500 grammi circa), le due principali unità di peso collegate da una relazione - su base mensile - di 1 a 60 che, su base annuale, conduceva ad un interesse del 20% (12 sicli su 60).
È interessante rilevare che il termine “interesse”, inteso nel senso di “accrescimento del capitale prestato”, veniva espresso in lingua sumerica con la voce lessicale “màs”, il cui significato originario era “capretto”, ricollegabile all’accrescimento del gregge dato in gestione; analogamente, anche nella lingua accadica si usava indicare l’interesse con la voce “sibtum” derivante dal verbo “wasabum”, crescere/aumentare, spesso utilizzato nei contratti in cui veniva negoziato l’affitto di un gregge o di una mandria.
Il sistema finanziario mesopotamico era caratterizzato da una particolare forma di “bi-metallismo” basato sul rapporto argento/orzo, che erano certamente i beni più utilizzati quali parametri di riferimento e computo del valore/prezzo. Nelle transazioni economiche, veniva quasi sempre riportata l’equivalenza argento/orzo, in modo tale da esprimere per i vari beni/prodotti il relativo contro-valore tramite una relazione fissa tra il metallo prezioso ed il cereale: il tasso di cambio standard prevedeva che ad 1 “siclo” d’argento corrispondesse 1 “gur” d’orzo, pari a circa 300 litri del cereale. Il sistema di calcolo ponderale, articolato su una struttura sessagesimale, si basava sul “talento”, termine con significato letterale di “carico”, pari a 30 kg circa, corrispondente al peso medio trasportabile da un adulto maschio, suddiviso in 60 “mine” da 500 gr. circa - laddove il termine mina viene tradotto in “contatore” - e 3.600 “sicli” da 8,3 gr. circa - laddove il termine siclo trae origine dal verbo “pesare”-, fino all’unità più piccola del “grano”, corrispondente al peso teorico di un chicco d’orzo, pari ad 1/20 di grammo circa - con 180 grani circa equivalenti a 1 siclo.
Ritroviamo il riferimento al prestito d’orzo anche nelle iscrizioni del Cono di Enmetena, risalenti al 2400 a.C. circa, che attestano una controversia avente ad oggetto i confini territoriali tra le città di Lagash e Umma, vertenza definita con un risarcimento danni fissato nella misura del tasso di interesse ordinario del 33% previsto per il finanziamento di cereale maggiorato degli interessi accumulati nel corso delle due generazioni di durata della vicenda, con una conseguente richiesta finale di un’ingente indennità. Il Cono, reperto d’argilla di epoca sumera, custodito nella collezione babilonese della University of Yale, rappresenta la prima testimonianza nella storia mondiale del cosiddetto interesse “composto” che genera, attraverso il sistema della capitalizzazione, la moltiplicazione esponenziale del debito.