Il 30 settembre 2017 l’artista Marco Bolognesi arriva con la mostra Sendai city: the Truth in Brasile alla Bienal de Curitiba 2017, il più grande evento di arte contemporanea che si svolge in America Latina, realizzato dal Ministero della Cultura del Brasile (MinC), dal Governo dello Stato e dal Municipio di Curitiba. Selezionato dal curatore Massimo Scaringella, l’artista presenterà un progetto dedicato al rapporto tra verità e conflitto presso la prestigiosa sede del Museu Oscar Niemeyer - MON, visitabile fino al 25 febbraio 2018.
La Biennale
La Bienal de Curitiba 2017 è intitolata Antipodi - Eccesso d’immagine e si propone di mostrare che la "Diversità" o "gli Opposti", argomenti di riflessione di questa edizione, rappresentano “non solo un limite tra i mezzi di espressione artistica ma anche si un limite tra le culture. Limiti che mai sono definitivi e rappresentano incroci di andata e ritorno, incontri plurali e sinergie create da confronti di punti di vista distinti, lontani, anche contro gli altri. Secondo Deleuze: "La trasversalità attua unendo le differenze” (cit. Ticio Escobar). La Bienal de Curitiba ospiterà la Cina in qualità di Paese insignito e accoglierà opere di artisti provenienti dai cinque continenti.
All’interno della sua proposta curatoriale, Massimo Scaringella ha selezionato un ventaglio diversificato di artisti da inserire nel suo spazio curatoriale, che oltre a Marco Bolognesi, prevede un omaggio a Davide Boriani (fondatore dello storico gruppo T), i finlandesi Tuomo Rosenlund&Johanna Pohjanviria e Hannu Palosuo, lo statunitense Stevens Waughn, l’israeliano Shay Frish e l’ivoriano Joachim K. Silue, tra gli altri.
Sendai city: the Truth
Marco Bolognesi, artista contemporaneo d’ispirazione fantascientifica che opera muovendosi a livello internazionale, ha ideato per Curitiba una stanza installativa, che vedrà esposta per prima volta la serie fotografica Techno Mutant (2017), realizzata dall’artista per parlare dello scenario conflittuale del mondo contemporaneo.
Partendo dal concetto di verità – the truth, come si legge nel titolo della mostra – Bolognesi si fa carico dello stato chiaramente in crisi di questa parola: “la nostra cultura – osserva – mostra lo sguardo della verità come la risposta ai fatti contemporanei della guerra, del terrorismo, soprattutto dello scontro costante tra occidente e medio oriente, che non è solo uno scontro tra religioni, ma molto di più'”. Secondo l’artista, infatti, la società attuale è legata al conflitto per mantenere il controllo della realtà, una realtà che non esiste, ma che comunque percepiamo. La verità, allora, che a questo punto dovrebbe giustificare lo scontro, diventa solo un punto di vista.
Il lavoro di Marco Bolognesi guarda a un futuro possibile attraverso Sendai City, un work in progress nato dalla sua sconfinata immaginazione, che vede il mondo contemporaneo traslato nell’universo di una megalopoli post-punk e concretizzato, in venti anni di attività, attraverso differenti linguaggi (fotografia, disegno, video e installazioni). Come riferisce l’artista, lo scontro/incontro ha sempre avuto un luogo, che a differenza dei campi di battaglia a cui si assisteva nell'antichità, oggi si consuma nello spazio che rappresenta a tout court il luogo contemporaneo: la città, quale “contenitore” per eccellenza di questo conflitto.
Con questa mostra, Bolognesi apre un nuovo capitolo negli scontri che imperversano a Sendai City e sceglie di raccontarlo con un progetto fotografico che incarna il conflitto corporeo: Techno Mutant. Il colore nero, protagonista delle fotografie (100x70 cm), annulla i confini tra lo spazio e il soggetto in un conflitto crescente, al punto che l’individuo, pur di sopravvivere, è costretto a mutare. Per farlo, l’artista riprende gli elementi della sua ricerca e sceglie ancora una volta di lavorare sulle modelle con oggetti riciclati: “Ho cercato di lavorare con le pistole ad acqua, quali forme innocue e giocose che rimandando in maniera ludica alla guerra, e con elementi di uso comune come tubi o scatole da elettricisti, facili da trovare in tutte le case delle città del mondo”, racconta Bolognesi.
Con questi ingredienti, il lavoro di decontestualizzazione degli oggetti, e dunque del soggetto, ha permesso all’artista di creare una serie di esseri oscuri dal sapore fantascientifico e in piena mutazione, i cui cambiamenti risultano fondamentali per reggere il peso incessante del conflitto, fuori e dentro di loro. In questo senso, secondo Bolognesi la sopravvivenza, e dunque la vita, ci obbliga a mutare fino a perdere ciò che eravamo.
Non a caso, i nomi delle fotografie s’ispirano a quelli delle stelle, per rammentare le normali origini di questi esseri che, allo stesso tempo, divengono il paradigma di un corpo che sfugge, si fonde e si confonde con lo spazio attorno, ovvero la città. Lo sguardo delle foto mostrerà quindi allo spettatore di Curitiba il malessere della società contemporanea in conflitto, in un universo dove il luogo si annulla col corpo e scompare nel nero.
Marco Bolognesi, bolognese di origine ed europeo transculturale di fatto, ha vissuto tra Roma, Londra e Vienna, per poi stabilirsi recentemente a Bologna. Fin dall’inizio della sua carriera, ha incentrato lo sviluppo della sua ricerca artistica sulla creazione di un mondo parallelo futuribile e fantastico che prende vita grazie all’utilizzo di tecniche miste: dalla fotografia al disegno passando per video e installazioni. Trasferitosi a Londra, nel 2002 vince The Artist in Residence Award all’Istituto Culturale Italiano, grazie al quale l’anno successivo realizza la mostra Woodland, un progetto espositivo incentrato sulla tematica degli organismi geneticamente modificati, che vede la collaborazione di grandi stilisti come Giorgio Armani, Vivienne Westwood, Dolce&Gabbana e molti altri. Alle soglie del 2017 approda a Bologna per dar vita a un nuovo spazio, la Bomar Studio Srl, votata alla produzione e distribuzione di videoarte, documentari e cinema sperimentale in genere, e partecipa alla collettiva Our Place in Space a Palazzo Cavalli Franchetti (Venezia), a cura di Antonella Nota e Anna Caterina Bellati, in collaborazione con ESA -European Space Agency e NASA, con l’opera Mock-up. Nel mese di maggio il cortometraggio Blue Unnatural viene ospitato al Future Film Festival di Bologna e all’Ibrida Festival di Forlì.
Massimo Scaringella è curatore indipendente di arte contemporanea e organizzatore di eventi culturali. Durante oltre trenta anni di attività in Italia e all’estero ha presentato moltissimi artisti italiani e stranieri, curando e collaborando in oltre 250 mostre di arte contemporanea in 40 paesi. In continuo contatto con diverse realtà e culture locali, ha creato un ponte d’intercambio tra l’arte italiana e il resto del mondo, in particolare con l’America Latina, dove è stato Direttore Artistico della 4a edizione della Biennale del Fin del Mondo 2014/2015. Direttore e fondatore di ars maxjer contemporanea - progetti culturali d'avanguardia, nel 2017 è stato nominato curatore del Padiglione Nazionale della Costa d'Avorio nella 57° Biennale Internazionale d'Arte di Venezia.