HB, la mostra personale di Marco Fantini [Vicenza, 1965], è dedicata al disegno, allo sguardo e ai presupposti che lo sostengo-no. L’artista si misura con la semantica della matita in un gioco costante di depi-staggio, atto a minare i cardini desueti della percezione. Nelle opere esposte al museo di Lissone la matita è sempre pre-sente, sotto forma di citazione diretta o di rimando implicito.
Fin dagli esordi, la traccia del disegno at-traversa le opere di Fantini come un vero e proprio “secondo livello” di espressione; un gesto, quello del disegnare, che non precede mai l’opera, perché non la de-scrive e non ne costituisce l’ossatura pro-gettuale, ma agisce semmai sul magma fondante della pittura per meglio definir-la, riducendone l’enfasi e gli eccessi di e-spressività.
Se fino ad oggi la pittura e il disegno co-stituivano nelle opere di Fantini i poli op-posti di un’antinomia, nei lavori qui espo-sti il disegno sembra voler far proprie an-che le premesse e le ragioni della pittura. I sintomi di tale conversione sono già pre-senti in talune opere del recente passato (come ad esempio “La cura” e “Stop mo-tion”, entrambe del 2010) ma il suo con-clamarsi risale a cinque anni fa, quando l’artista si trasferisce a vivere per lunghi periodi in Vietnam, esperienza che l’arti-sta ricorda con queste parole: «Vista trop-po da vicino la realtà si sfuoca, e disegna-re è un po’ come inforcare gli occhiali da vista: un allontanarsi dal contesto per po-terlo ridefinire con maggior chiarezza. Per questo ho disegnato molto durante i miei soggiorni in Vietnam. Distante da obbli-ghi espositivi, dichiarazioni di intenti o sfide concettuali, ho riscoperto il piacere della creazione ingiustificata e capriccio-sa. Piacere che tutt’ora prosegue e condi-ziona la realizzazione delle mie opere pit-toriche».
Nella mostra al MAC il colore sembra bandito e la materia ricondotta alla trac-cia polverosa del gessetto sulla lavagna. In quest’occasione Fantini trasla nell’auto-referenzialità del disegno tutti i tratti ca-ratteristici della sua poetica, enfatizzando l’allestimento con una decina di pali di castagno naturale che sono stati convertiti in grandi matite che esprimono il lavorio e l’ansia creativa. Le sculture in legno grezzo intervallano i lavori pittorici più recenti e quelli più datati innescando così veri e propri cortocircuiti visivi che depi-stano e confondono gli automatismi pas-sivi della visione. «C’è molta distrazione in giro» – afferma l’artista – «lo sguardo sembra posarsi su tutto con la medesima passiva indifferenza. Guardare è invece un’azione, è “l’atto del ricevere” che si tra-scina dietro la coda di un’intenzione, di una consapevolezza, anche se inconscia».
HB è una mostra in cui il disegno diventa il mezzo ideale per ricordare che guardare non significa subire la realtà ma agire su di essa e per suo tramite, trasformandola e trasformando noi stessi.