Dal 31 marzo al 30 aprile 2017, il Complesso Museale “Chiostri di Sant’Eustorgio” di Milano ospita la mostra Intorno ai vasi sacri, che vede cinque importanti maestri del design quali Antonia Astori, Riccardo Dalisi, Michele De Lucchi, Alessandro Mendini, Paolo Rizzato, confrontarsi con le tematiche del sacro e con le regole del rito e della Liturgia.
L’esposizione, curata da Marco Romanelli e Carlo Capponi, con la collaborazione di Laura Lazzaroni, col patrocinio del Vicariato alla Cultura della Arcidiocesi di Milano, organizzata in collaborazione con La Triennale di Milano/Triennale Design Museum e Material Connexion Italia, proporrà cinque calici, appositamente realizzati per questo appuntamento dal laboratorio di cesello e oreficeria della Scuola Beato Angelico di Milano. Interpretare il calice in chiave contemporanea significa dare valore al vaso sacro di maggiore importanza nella liturgia eucaristica, ma anche affrontare una forma facilmente comunicabile al di là delle personali afferenze e conoscenze religiose.
Comune a tutti i cristiani, il calice è sostanzialmente un bicchiere dotato di lungo stelo o, più precisamente, secondo un repertorio liturgico pubblicato nel 1950 dal milanese mons. architetto Giuseppe Polvara, “è il bicchiere che serve a celebrare la S. Messa. Deriva dal bicchiere usato dal Signore per convertire il vino nel suo sangue. Deve essere alto di fusto e nel fusto deve avere un nodo per sostenerlo con due dita. Deve avere almeno la coppa d’argento dorato all’interno. E’ il vaso più sacro”. Proprio per l’assonanza con il “bicchiere”, il calice appare oggi, tra gli oggetti liturgici, il più semplice e contemporaneamente il più simbolico, ma anche il più facilmente indagabile.
Al termine della rassegna, questi manufatti andranno ad arricchire la collezione del Triennale Design Museum.
L’iniziativa invita il visitatore ad andare al di là dell’oggetto, artistico o di design, alla ricerca di un significato implicito contenuto in esso, ma che, non per questo, elude la funzione prima a cui l’oggetto è destinato. Raccontare la storia di questi manufatti significa mostrare un ‘uomo creatore’, capace di guardare oltre la sua matita e di progettare l’oggetto in base a ‘regole’ che rimandano al senso, oltreché alle necessarie funzioni tecniche.
Come afferma Marco Romanelli, “Il calice è un oggetto che si stacca dalla quotidianità (della vita e della professione) per raccontare, come la si voglia giudicare, una storia millenaria e profondissima; un oggetto che, per milioni di persone, rappresenta molto altro da sé”. “Cinque calici dunque - continua Marco Romanelli -, a segnare, con grande umiltà, ma altrettanta chiarezza, un punto preciso sulla linea del tempo e delle forme, per non dimenticarsi mai di ottemperare a un precetto che credo rappresenti una chiara e definitiva indicazione progettuale: Cantate Domino canticum novum”.