Dal 17 marzo al 1° aprile 2017, 29 Arts in Progress gallery di Milano (via San Vittore 13) rende omaggio al fotografo svizzero Kurt Ammann (Berna, 1925), testimone oculare di una società in ripresa dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, che ha colto con il suo obiettivo la poetica delle piccole cose e ha saputo trasmettere serenità alle persone che ammiravano i soggetti ritratti.
La mostra, curata da Giovanni Pelloso, presenta 30 fotografie, realizzate da Ammann in un ventennio, tra la fine degli anni quaranta e la fine degli anni sessanta, su cui scorrono sentimenti e stati d’animo di persone semplici e di importanti esponenti dell’arte e della cultura europea del Novecento, da Marc Chagall a Ingeborg Bachmann, da Oskar Kokoschka a Federico Fellini.
La sua carriera prende avvio nel 1948 quando, poco più che ventenne equipaggiato solo con una Leika, cercava di cogliere, con l’energia tipica delle giovani generazioni, la ritrovata joie de vivre delle persone che, passate attraverso la violenza e il dolore del conflitto da poco concluso, si aprivano a un futuro finalmente carico di speranze e aspettative.
La freschezza del suo sguardo è stata la cifra stilistica della sua ricerca, che mai lo ha abbandonato negli anni a seguire. Le sue fotografie son composte come se, nell’effimero passare d’un attimo, la macchina fotografica catturasse una sensazione permanente e durevole di serenità e felicità.
Kurt Ammann utilizza lo stesso metodo, anche quando ritrae importanti personalità della cultura e dell’arte del Novecento. Si veda ad esempio, il sorriso divertito che affiora negli occhi di Marc Chagall, la spavalda ironia di Oskar Kokoschka, l’intensa espressione di Arnaldo Pomodoro. L’atteggiamento disinvolto dello scrittore elvetico Friedrich Dürrenmatt all’interno del suo ambiente domestico che si contrappone all’insicurezza di Ingeborg Bachmann. O ancora la fiducia di Alain Resnais compiaciuto della cinepresa e Federico Fellini interdetto, quasi la sua perplessità proiettasse l’ombra che va a oscurare le caselle dell’ordinato calendario di lavorazione de Le notti di Cabiria.
Il percorso espositivo dà inoltre conto dei suoi reportage attorno al mondo, dal Messico al Brasile, dalla Corea del Sud al Ghana, dagli Stati Uniti alle capitali europee.
Scrive il curatore Giovanni Pelloso "Giovane, giovanissimo, si lascia travolgere dalla fotografia. Nei decenni successivi le sue immagini racconteranno la vita e le culture del vecchio continente, dell’Oriente e del Sud America. Lui, pellegrino legato al bianco e nero, ha avuto la capacità di restituire l’immediatezza e la spontaneità del momento, rendendoci partecipi del suo stupore. A scorrere dinanzi ai nostri occhi sono brevi istanti, racconti di storie quotidiane capaci, non solo, di far luce su un’epoca, ma anche di liberarsi dalla contingenza, dalla linea della storia, e di vivere di luce propria, poiché la bellezza è nello sguardo sulle cose."