Addomesticare la Natura rimane uno degli obiettivi prioritari dell’uomo: la coltivazione delle piante a scopo ornamentale, alimentare e medicinale, rappresenta l’attività che meglio materializza questa tendenza. L’attenta osservazione delle specie vegetali allo stato selvatico, la costante selezione delle sementi e le innumerevoli ibridazioni, fino alle moderne manipolazioni genetiche, sono le tappe fondamentali di questo fenomeno che da semplice atto imitativo si è tramutato in un processo manipolativo. Nell'antichità, la progressiva tendenza dell’uomo alla stanzialità (origine dell’agricoltura), a scapito del nomadismo (pratica della caccia e pastorizia), ha significato rivolgere alle piante particolari attenzioni, allestendo appositi luoghi di crescita e riproduzione.
Nel tentativo di conciliare gli aspetti utilitaristici e quelli estetici, tali spazi, inizialmente delimitati da un semplice steccato, subiscono, con il trascorrere dei millenni, una complessa trasformazione: nasce e si sviluppa il “giardino” che nella sua magnificenza o essenzialità, rappresenta l’espressione materiale e simbolica, dei vari modelli di potere religioso e politico che hanno caratterizzato la storia dei popoli. In tutte le mitologie sono reperibili le tracce di una dimora felice, esente da ogni forma di malattia e morte, dove la prima coppia umana viveva in stretta simbiosi con la divinità. Questo connubio idilliaco, però, non ha avuto vita facile: l’uomo e la donna si sono macchiati di un grave atto di disubbidienza (un messaggio simbolico tutto da scoprire, soprattutto nell’ambito della psicologia del profondo) che li ha costretti a un esilio forzato in una terra inospitale.
È l’inizio della storia dell’umanità e di questo evento rimane un ricordo sfumato, frammenti comuni rintracciabili in tutti i miti che raccontano di un lontano periodo aureo, improntato a un’esistenza libera e creativa. Ma un altro giardino si presta da sfondo per un secondo drammatico incontro tra l’uomo e la divinità: l’orto di Getsemani, dove si consuma il dramma di Gesù. Tra quelle piante prende forma una delle più importanti verità teologiche del Cristianesimo: il figlio di Dio sacrificato per riscattare l’umanità dal peccato originale (non bisogna dimenticare che l’uccisione e il martirio di una divinità è un tema universale, patrimonio di molte religioni arcaiche). Per lungo tempo la descrizione biblica del Paradiso ha rappresentato la principale fonte di ispirazione per la progettazione e realizzazione dei giardini terrestri (il termine “giardino” è legato alla parola araba al-janna che significa paradiso).
L’universalità della cultura delle piante trova la sua espressione più compiuta in un processo di fusione tra estetica, spiritualità e filosofia. Dalla maestosa ostentazione dei giardini di Babilonia, arricchiti d’imponenti terrazze e alte colonne, si passa alla sensuale raffinatezza di quelli persiani, fino a raggiungere la sconcertante essenzialità degli spazi verdi racchiusi tra le mura dei templi Zen, dove gli elementi naturali (piante, fiori, rocce e acqua) trovano uno spontaneo equilibrio microcosmico. Inutile rimarcare l’influenza esercitata da tali modelli sulla concezione dei giardini in Occidente, anche se la diversità culturale, specie in Europa, ha spinto a privilegiare maggiormente l’aspetto decorativo, a scapito di quello funzionale e speculativo tipico degli antichi giardini medievali.
Questi ultimi si presentano come dei luoghi di trasmissione del sapere, dove la religione, l’architettura, l’astrologia e la medicina, nei loro aspetti sia simbolici che operativi, si fondano imprimendo a tali strutture una forte identità espressiva. Al riparo dei chiostri dei monasteri assumono la forma di Hortus conclusus (nel senso di “orto chiuso”): uno spazio sacro in netta contrapposizione alla dimensione profana esterna. I giardini medievali, molto lontani dai progetti estetici che in futuro daranno forma ai cosiddetti “giardini all’italiana”, sono il frutto di una ricercata “ascesi materiale” dove la preghiera e la contemplazione si fondono con la realtà del corpo: preghiera e lavoro (ora et labora) sono due facce di una stessa realtà esistenziale, due modi per lodare il Creatore che si manifesta soprattutto tramite il linguaggio della Natura.
In questo “terreno religioso” trovano posto le erbe e gli ortaggi per uso alimentare (Hortus holerorum), gli alberi da frutto (Pomarium) e soprattutto le piante medicinali, riunite a formare il cosiddetto “Giardino dei Semplici” (Hortus sanitatis): termine che trova ispirazione dal latino medicamentum simplex, nel significato di medicina semplice poiché i rimedi terapeutici utilizzati sono quelli reperibili in natura. All’interno dei monasteri, i processi di coltivazione e di raccolta seguivano specifici calendari, in relazione alle fasi stagionali, agli influssi astrali e, soprattutto, ai cicli biologici e ai tempi balsamici dei singoli vegetali (il momento di massima concentrazione dei principi attivi).
Il lavoro manuale, inoltre, era accompagnato dalla continua ripetizione di preghiere ed esortazioni. Tale tecnica, regolarmente praticata in India, Nepal e Tibet (nella tradizione dello Yoga questa metodica meditativa è chiamata Japa) e in alcuni monasteri greco-ortodossi, è associata a uno stato mentale di piena consapevolezza e attiva partecipazione alla natura divina del mondo.
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