Parallelamente alla mostra dedicata a Paul Signac, il Museo d’arte della Svizzera italiana prosegue la sua riflessione su alcuni momenti e figure che hanno segnato la storia della pittura moderna e contemporanea presentando, dal 2 ottobre al 22 gennaio 2017, una grande retrospettiva che ripercorre l’opera di Antonio Calderara.
L’esposizione intende presentare al grande pubblico la ricerca artistica di questa singolare figura del panorama artistico italiano del Novecento, che partendo dalle riflessioni sugli elementi costitutivi del linguaggio pittorico è approdato a un’astrazione che nella sua radicalità appare perfettamente in sintonia con le coeve esperienze del minimalismo internazionale.
Attraverso un’accurata indagine critica, il Museo riporta l’attenzione su questo grande maestro della pittura aniconica con una retrospettiva che evidenzia la dimensione internazionale della sua opera e l’attualità della sua poetica nel panorama contemporaneo. Inserita nell’ambito della programmazione espositiva riservata ai protagonisti della pittura insieme alla mostra dedicata a Paul Signac (visitabile fino all’8 gennaio 2017), l’esposizione instaura un dialogo tra due artisti di primo piano della storia dell’arte del Novecento che hanno concentrato la loro ricerca attorno al tema della luce.
Antonio Calderara (1903-1978), figura appartata del panorama artistico italiano per molti versi paragonabile a quella di Giorgio Morandi, si avvicina all’arte da autodidatta negli anni Venti, dopo aver abbandonato gli studi in ingegneria al Politecnico di Milano. Da questa decisione radicale prende il via un percorso affascinante e complesso che disegna una traiettoria singolare e totalmente autonoma, ma di altissimo valore, all’interno della storia dell’arte italiana del Novecento.
La pittura di Calderara degli anni Venti e Trenta, contraddistinta da paesaggi e scene domestiche, appare saldamente radicata nella tradizione lombarda, muovendosi lungo due direttrici generali che ne definiscono le referenze stilistiche: da un lato la tradizione del Divisionismo, dall’altra l’esperienza milanese di Novecento. Caratterizzata da semplificazioni plastiche e da una luce chiara in cui si avvertono gli echi di Piero della Francesca – maestro di luce e di matematiche armonie che sarà per il pittore un punto di riferimento costante – e di Georges Seurat, la pittura di Calderara appare segnata nei decenni successivi da un intimismo stilizzato, vicino alle esperienze del Realismo magico.
Intorno alla metà degli anni Trenta, in un ristretto gruppo d’opere di grandissima qualità, Calderara dimostra di aver ormai raggiunto una piena maturità espressiva. Al culmine di questa fase, in cui l’artista sembra aver trovato finalmente la propria strada attraverso un pieno dominio delle forme e dei volumi, sottoposti alla semplificazione di un grafismo geometrizzante e torniti dalla luce, si comincia già ad avvertire l’emergere di un nuovo paradigma che si manifesta in un crescente gusto per le pennellate libere e le vibrazioni luminose. I decenni successivi sono infatti segnati da un progressivo disfacimento delle forme nelle vibrazioni luministiche grazie alla tecnica delle velature, mentre i formati dei dipinti si fanno sempre più piccoli, fino a rasentare la miniatura.
A segnare una svolta decisiva nella sua pittura è il passaggio, nel 1959, all’astrazione, in cui ogni riferimento alla figura è abbandonato in favore di un’assoluta non-oggettività. Un processo che matura lentamente a partire dal 1954, dopo l’incontro con la pittura di Mondrian.
Trasferitosi di nuovo a Milano al termine della guerra, Calderara rompe in parte l’isolamento dei decenni precedenti, inserendosi nel vivace e dinamico contesto culturale del capoluogo lombardo. Vicino a Lucio Fontana, Piero Manzoni, Dadamaino, Gianni Colombo ed Enrico Castellani per affinità concettuali e teoriche, Calderara trova nella Milano della seconda metà degli anni Cinquanta, in cui si respira una voglia d’infinito e un’aspirazione a un grado zero dell’arte, le condizioni ideali per arricchire e nutrire le riflessioni che guidano la sua evoluzione pittorica. Nei dipinti degli anni Sessanta e Settanta, quasi sempre di piccolo formato, prende così corpo una luce-colore che traduce la sua aspirazione a “dipingere il nulla, il vuoto, che è il tutto, il silenzio, la luce, l’ordine, l’armonia. L’infinito”.
È grazie a questa rigorosa astrazione che Calderara ottiene importanti riconoscimenti internazionali, conquistando grande attenzione soprattutto in area tedesca, dove la sua opera presentata nell’ambito di numerose mostre personali e collettive conquista rapidamente una larga schiera di ammiratori.
Prima grande retrospettiva di Calderara in Svizzera dopo quella curata da Jean-Christophe Ammann al Kunstmuseum di Lucerna nel 1969, la mostra comprende quasi 200 opere, provenienti da musei e collezioni private europee, che permettono di documentare nella sua interezza la singolare traiettoria che questo artista ha disegnato all’interno del panorama artistico italiano del Novecento. Dispiegandosi cronologicamente lungo tre sezioni principali, l’allestimento prende avvio dalle opere figurative degli anni Venti e Trenta, marcate dalla vicinanza al Novecento italiano, per poi soffermarsi sul periodo degli anni Quaranta e Cinquanta, caratterizzato dal progressivo passaggio all’astrazione. La sezione più ampia della mostra si concentra invece sulla ricca produzione astratta degli anni Sessanta e Settanta che ha decretato il successo internazionale dell’artista.
Antonio Calderara Una luce senza ombre vuole evidenziare il valore internazionale della ricerca astratta di Calderara, la quale non conosce molti altri esempi in area italiana per la sua radicalità, perfettamente in sintonia con le coeve esperienze europee che tendono al grado zero della pittura.
Pur partendo dalle esperienze maturate all’interno dell’arte concreta della prima metà del Novecento, l’opera di Calderara evolve in una direzione diversa che lo avvicina a quegli artisti americani, variamente collocabili tra Espressionismo astratto, Color field e Minimalismo, che negli anni Cinquanta e Sessanta esplorano, a partire da un linguaggio formale ridotto al minimo, le potenzialità del colore sulla base di una forte tensione spirituale e di un’aspirazione alla trascendenza. Uno degli elementi che maggiormente lega Calderara ad artisti quali Ad Reinhardt, Mark Rothko, Barnett Newman e Agnes Martin è proprio la comune aspirazione ad ampliare la superficie del dipinto in una dimensione spirituale. Nelle opere che Calderara dipinge a partire dal 1960, quello che lo spettatore si trova di fronte, infatti, non è più uno spazio ottico-percettivo, ma piuttosto “uno spazio mentale”.
Realizzata, grazie alla collaborazione con la Fondazione Antonio e Carmela Calderara, l’ultima sezione della mostra è costituita da un’ampia selezione di opere provenienti dalla collezione che l’artista ha raccolto attraverso una fitta serie di scambi con artisti a lui legati da rapporti di amicizia o di stima, quali Josef Albers, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein, Dadamaino, François Morellet, Max Bill, Jan Schoonhoven, Almir Mavignier e Reimer Jochims. In questa sezione le opere dello stesso Calderara dialogano con quelle dei suoi colleghi, dimostrando in questo modo non solo le affinità e le assonanze che legano la sua opera a molte delle ricerche più avanzate degli anni Sessanta e Settanta, ma anche la straordinaria singolarità del suo percorso.
Nella primavera del 2017 il Kunstmuseum Winterthur riprenderà parzialmente la mostra, concentrando la sua attenzione sulla ricezione dell’opera di Calderara al Nord delle Alpi.
Grazie al riconoscimento internazionale che incontrò il suo lavoro a partire dai primi anni Sessanta, Calderara ebbe modo di costruire una fitta rete di amicizie con colleghi le cui ricerche erano affini alle sue. Grazie agli scambi di opere con questi artisti, egli riuscì a costituire, nel corso del tempo, un nucleo sempre più ampio di dipinti e sculture che ben rappresentano il contesto all’interno del quale si colloca il suo lavoro.
Calderara cominciò a maturare l’idea di dare una sede stabile a questo insieme nel 1971, come si evince da una lettera che l’artista indirizzò a Virgilio Guidi: “Caro Guidi, non appena mi verrà libera una casetta davanti alla mia casa di Vacciago ho in animo di raccogliere la mia collezione, circa 80 opere di avanguardia”. Attingendo alla vastissima rete di amicizie e contatti, italiani e stranieri, che si era creato, Calderara riuscì, negli anni successivi, ad ampliare ulteriormente questa raccolta che venne a riassumere un’ampia parte delle ricerche neoconcrete e ottico-percettive della seconda metà del Novecento. La raccolta ancor oggi conservata nella casa-museo di Vacciago d’Ameno secondo la disposizione immaginata dall’artista stesso, venne completata nel 1976, e comprende 271 opere di 133 artisti diversi.
Intitolata La storia di Antonio Calderara e una scelta di artisti contemporanei suoi amici, la collezione, in cui sono incluse anche una cinquantina di opere dello stesso Calderara, non è solo l’espressione dei gusti e della visione del mondo del suo creatore e il riconoscimento dei suoi numerosissimi legami artistici, di amicizia e di stima, ma anche una sorta di opera d’arte totale all’interno della quale il suo percorso artistico si iscrive.
Affidata alla gestione della Fondazione Antonio e Carmela Calderara, la casa-museo di Vacciago è visitabile dal pubblico da maggio ad ottobre.