C'era una volta l'America. Quella rurale, schietta e frugale, silenziosa e forse un po' puritana, nata da una società in cui la minoranza dei nativi conviveva con altri agricoltori arrivati da altre parti del mondo, tutti riuniti intorno ai valori comuni di libertà, progresso e abbondanza. C'era una volta un'altra America. Quella delle macchine e dell'industria che cresceva, delle grandi aree urbane, del mito del continuo boom economico, poi diventato realtà e simbolo di un mondo in cambiamento. Ma c'era anche l'America della solitudine, della tristezza senza tempo, del silenzio senza speranza. E ancora, quella delle proteste che hanno accompagnato la lunga e mai conclusa lotta per l'uguaglianza. Fino all'America sciattona, maleducata, fatta di gigolò, boss e prostitute, ossessionata dal divertimento, quella che chiudeva molti dei suoi sogni di gloria nelle sale cinematografiche, anello finale, oltre che emblema, di un'industria redditizia.
Quale di queste è la vera America? Se lo chiede lei stessa in una mostra allestita dal Chicago Art Institute che si chiuderà il 18 settembre per trasferirsi in Europa, prima nei suggestivi spazi dell'Orangerie a Parigi (dal 12 ottobre al 30 gennaio), poi alla Royal Academy di Londra. America after the Fall è una ricerca su come l'arte sia riuscita a interpretare le molte facce della società statunitense negli anni che sono seguiti alla Grande Depressione fino all'ingresso nella Seconda guerra mondiale, nel dicembre 1941. Il crash economico del '29 e la conseguente perdita dei risparmi, del lavoro e della casa è l'inizio della scena artistica su cui la mostra si muove perlustrando tutte le reazioni del pennello a un caos che non fu soltanto economico ma incise pesantemente anche sugli ideali della democrazia e sul sogno di sviluppo e progresso. Così viene ricostruita un pezzo di storia americana, quella degli anni Trenta, con i suoi drammi e la sua voglia di riscossa, voglia che fu vincente, così come vincente fu la scoperta di una identità artistica. Proprio al termine di quel periodo così nero e burrascoso, infatti, l'America, nell'arte da sempre satellite dell'Europa, si ritroverà lo scettro di leadership, spostando il baricentro della creatività da Parigi a New York.
È American Gothic di Grant Wood ad aprire le danze di una rassegna totalmente nuova a qualsiasi occhio europeo. Sono i due personaggi ieratici, lui il dentista e lei la sorella dell'artista, a rappresentare l'orgoglio americano e a indicare la rinascita nella società contadina dai fieri principi, rappresentati dal forcone dell' uomo, strumento di un lavoro duro, e dal cammeo della donna, che corrisponde ai modelli classici della tradizione. Il dipinto non ha mai lasciato il Nord America fino ad oggi e averlo al di qua dell'Atlantico nei prossimi mesi è già di per sé un evento. I dolci colli arati di Fall Plowing e i declivi coltivati a mais di Young Corn, usciti sempre dalla mano di Grant Wood avevano lo stesso significato, assegnando alla fecondità della terra il compito di recuperare il benessere perduto.
Lo stesso avviene con Thomas Hart Benton e il suo Haystack e con Marvin Cole e il suo River Bend No 4. Certo nessuno può dire che Edward Hopper la pensasse nello stesso modo. Con il suo realismo e la sua totale estraneità a qualsiasi sogno o misticismo, lui ci presenta l'America delle autostrade e dell'isolamento, priva di comunicativa e impegnata solo in monologhi con se stessa, senza ironia, ma anche senz'anima. Quell'anima e quel futuro che invece Charles Sheeler e Charles Demuth trovavano nelle macchine e nell'industrializzazione, così preponderanti nei loro dipinti (Suspended Power; American Landscape e And the Home of the Brave), da eliminare o sovrastare la presenza umana. La Storia non darà ragione al sogno idillico di Wood. Ma nell'arte non conta chi ha ragione e chi ha torto. Conta chi lascia un segno col pennello che non si cancella col tempo. Come certamente ha fatto Hopper, le cui tele sulla crudeltà della solitudine sono ampiamente note in Europa.
Ma Grant Wood, il cui nome ha più raramente superato l'Atlantico, non ha inciso meno con la sua onirica idea della terra-madre. Con lui ci sono molti altri artisti statunitensi, fino ad oggi sfuggiti al grande pubblico del continente europeo, i quali ci accompagnano non solo nella storia di un Paese, ma anche nell'evoluzione delle sue forme artistiche, che diverranno predominanti negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Così Ben Shahan, pittore e fotografo del Nordamerica, fu autore di una serie di quadri sulla storia dei due anarchici, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ingiustamente condannati a morire sulla sedia elettrica per un omicidio mai commesso. Uno di questi quadri, The Passion of Sacco e Vanzetti, è esposto nella mostra di Chicago: i due italiani sono nella bara mentre alle loro spalle si ergono i simboli architettonici dei tribunali americani con l'immagine del giudice che li aveva mandati a morte.
L'esposizione culmina con la nascita dell' astrattismo di Jackson Pollock, simbolo di una nuova era nata sulle ceneri del caos prodotto dal crack del '29. Non c'è dubbio che gli sconvolgimenti economici e politici possano diventare muse per l'arte. Resta da chiedersi se da questi anni di Grande Depressione europea anche noi sapremo trarre nuova linfa creativa.