Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse
un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia
anatema.
(Galati 1,8)

Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo,
a vantaggio dei miei fratelli miei consanguinei secondo la carne
.
(Romani 9,3)

L’anatema è frutto/strumento dell’ira di Dio quale Giudice contro il male. Il tema era attuale già nei primi secoli cristiani tanto che Lattanzio lo trattò nella sua opera Se Dio possa adirarsi. Il precettore di Costantino risponde affermativamente alla domanda sulla base di una logica binaria: se Dio non si adirasse allora metterebbe sullo stesso piano bene e male, ma essendo Lui la radice ontologica della scelta del bene superiore al male allora Dio è amore e odia il male quale Unità coerente, non contraddittoria.

Con il Nuovo Testamento (Vangeli, Lettere di Paolo, Apocalisse) e i primi testi cristiani (Didachè, Lettera al Papa Damasio e i testi dei primi Concili) il tema della maledizione viene da una parte profondamente rinnovato e dall’altra emerge con una struttura teo-logica in continuità con l’antico Israele. All’“anno di grazia” dei Vangeli (da Isaia) corrisponde un’equivalente e oppositivo nuovo tipo di “maledizione” dato dal fatto che il Cristianesimo pone quale fonte nuova della benedizione Cristo stesso con la sua nascita, vita, morte sacrificale e resurrezione, quindi anche la maledizione trova nuova linfa dal Cristocentrismo. Qui ricordiamo il rinvio a un preciso passo di Geremia: maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore (Ger. 48.10), da parte di San Francesco di Assisi (XII lettera, ai sacerdoti) per spronarli a uno zelo perfetto nelle azioni liturgiche.

Come si concilia quindi la Croce con la possibilità costante di una maledizione divina? Proprio per il fatto della Redenzione la Croce è oggetto e segno di maledizione e diventa veicolo redentivo grazie all’offerta di Cristo, sacrificale in quanto innocente e sostituiva a favore di tutta l’umanità di ogni tempo. Ma se si rifiuta Cristo e il valore salvifico della Sua Croce allora resta “la maledizione” e le maledizioni edeniche e scritturali. Dio non opera mai nel tempo senza condizioni, pur essendo per definizione l’Incondizionato. Forme e condizioni esistono sempre nella religione nel definire e riconoscere i rapporti fra uomo e Dio: sacramenti, preghiere, riti, formule. Anche la Legge divina principale di Israele che Gesù conferma fa distinzioni: Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. Il secondo comandamento è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. (Mc.12,29-31).

Letto con superficialità questo comando binario sembra indifferenziato come fosse un’univoca celebrazione della devozione del cuore. In realtà si rivela più profondo e più declinato nella distinzione fra il primo comando e il secondo. Solo per Dio infatti si comanda l’incondizionata adorazione e sottomissione, necessariamente esclusiva di ogni altra adorazione o dedicazione di se stessi. Per il prossimo si comanda un precetto molto esigente e difficile nella sua elevata nobiltà, ma in realtà meno intenso del primo. L’“essere se stessi” viene dopo l’abisso infinito di Dio e il “se stessi” viene relativizzato da Gesù stesso quando prescrive il “rinnegare se stessi” e l’aderire alla propria croce personale, unendola poi all’unica Sua Croce. L’amore di Dio quindi non è senza limiti verso i fratelli. E’ senza limiti solo verso Dio. Questo ragionamento è fondativo in quanto sull’incondizionatezza del primo comando si regge la perdurante possibilità della maledizione sia in senso oggettivo quale condanna anticipata da parte di Dio di certi comportamenti umani, sia in senso soggettivo quale giudizio ispirato da Dio contro il male da parte di certi fedeli. Se l’uomo muove guerra a Cristo allora cade nella maledizione che incombe sempre su chi si oppone a che l’efficacia della Redenzione di Gesù continui a operare per tutti.

Le otto rivoluzionarie “beatitudini” del “discorso della montagna” (Mt 5,2-12) producono altrettante implicite “maledizioni” contro chi opera in senso radicalmente opposto. Che il dovere dell’amore verso i fratelli non escluda il giudizio contro l’errore e la malvagità di determinati atti o stili di vita ce lo insegna il Vangelo a proposito del dovere, di carità, della correzione fraterna: Se tuo fratello pecca, va, riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolterà riavrai acquistato il tuo fratello. Se invece non ti ascolterà prendi con te una o due persone affinché sulla bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. Se non ascolterà neppure loro deferiscilo alla chiesa e se neppure alla chiesa darà ascolto sia egli per te come il pagano e il pubblicano. (Mt. 18,15-17) E ancora: Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Sono venuto a separare l’uomo da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora da sua suocera (Mt. 10, 34-35 e Luc. 12,49-53). E ancora: Guai a te Corazin! Guai a te Betsaida! Poiché se i prodigi che sono stati compiuti in mezzo a voi fossero stati fatti a Tiro e a Sidone, da tempo in cilicio e cenere avrebbero fatto penitenza. Ebbene vi dico che nel giorno del giudizio la sorte che toccherà a Tiro e Sidone sarà più mite della vostra. E tu Cafarnao sarai forse innalzata fino al cielo? Sino agli inferi sarai precipitata (Mt.11, 21-23).

Nella storia e nella propria vita il cristiano è chiamato a far aderire il suo giudizio al Giudizio divino. Per chi resiste alla grazia di Dio San Pietro ricorda che è pronto il fuoco della divina ira: Ora i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi (1Pt. 3,7). Nella sinagoga di Antiochia San Paolo ricapitola brevemente la storia della salvezza ricordando fra l’altro che Dio distrusse sette popoli nella terra di Canaan e diede ad essi in eredità la loro terra (Atti, 13.19) e se Dio è “Misericordia che viene” per i giusti, gli innocenti e i deboli, è pure Giustizia che incombe per gli empi: Razza di vipere! Chi vi ha insegnato a cercare scampo dall’ira che viene? (Mt. 3,7).

Persino nelle parole della dolcissima Madre di Dio, Maria, c’è il ricordo della bellezza della Giustizia di Dio, esse stessa opera di Misericordia, come si dice nel Magnificat: Ha messo in opera la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi con i pensieri del loro cuore (Luc. 1,51). Dall’episodio della presentazione di Gesù al Tempio (Egli è posto per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, come segno di contraddizione - Luc. 2,34) fino alla liberazione del Tempio dai mercanti l’Opera di Cristo appare espressione tanto di misericordiosa quanto di giudizio. Il tema dello “scandalo” quale peccato pubblico è centrale per capire l’anatema cristiano il quale serve appunto quale operazione di giustizia contro la malvagità e di misericordia a protezione delle anime innocenti.

Anatema e scandalo stanno e cadono insieme. L’anatema serve a rimuovere l’ostacolo, che è lo “scandalo”, pone alla diffusione del Regno di Dio sulla terra e serve pure ad avvertire che altri non cadano nella stessa grave colpa. Qui siamo alla radice della massima giustizia quale estrema misericordia. La serietà del vangelo e della predicazione apostolica e la sua urgenza per la salvezza delle anime è tale che negli Atti degli apostoli abbiamo due casi di immediata giustizia divina eseguita dopo l’invocazione degli apostoli: Anania e Simon Mago (Atti, 5,3-5 e 8,20-23), da considerare quale primo anatema contro la mondanizzazione dei benefici divini e contro la magia.

Una tipologia nuova e specifica di anatema cristiano lo troviamo nell’anatema contro l’anticristo, i sovvertitori del Vangelo e i malvagi e viziosi ( = i peccati contro lo Spirito Santo): Ma colui che avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno, ma sarà colpevole di peccato in eterno (Mc. 3,29). L’invettiva di San Pietro nella sua seconda lettera distingue chiaramente i due tipi di malvagi a cui si rivolge l’anatema: contro i peccatori ostinati, viziosi impenitenti, che rappresentano un modello negativo che contraddice pubblicamente al Vangelo (lo “scandalo”), ostacolando il cammino dei giusti, e contro coloro che osando rifiutare consapevolmente Cristo (dopo averlo accettato) o sovvertire la Sua Dottrina ingannando “i semplici”, aprono scenari apocalittici attirando castighi escatologici.

Simile il ruolo di un altro fortissimo anatema formulato da San Paolo: Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema (1Cor 1,5; 16,22). L'anatema appare quindi strumento ispirato da Dio che non pretende di giudicare le anime, usurpando il ruolo di Dio, ma giudica, in nome di Gesù Cristo, quindi secondo il Suo Vangelo, solo gli atti e gli stili di vita dei malvagi e non pretende di punire le anime, compito di Dio, ma solo "la carne", cioè l'attaccamento dei malvagi a un mondo che è maledetto già nella sua natura intrinseca di res alienata dal Cristo. Da San Paolo ricaviamo quindi due tipologie di anatemi: quelli scagliati "per sempre" contro i peccatori che peccano contro lo Spirito Santo, e sono gli anatemi a difesa del Vangelo contro i suoi dolosi sovvertitori che attentano alla radice della fede mettendo in pericolo la salute delle anime di molti, e gli anatemi scagliati in determinate occasioni contro individui peccatori di peccati gravi, viziosi, depravati, malvagi particolarmente pericolosi per il gregge dei fedeli.

Per questa seconda tipologia l'anatema serve come preservazione dei fedeli nella fedeltà del Signore e come punizione correttiva per la salvezza dell'anima degli stessi seminatori di scandali. Una sorta di purgatorio anticipato. Troviamo infine una chiarissima distinzione teologica e rituale fra scomunica e anatema nel Decretum Gratiani che è una raccolta di tutte le leggi della Chiesa dalle più antiche fino alla modernità e che dichiara: Aeternum vae maledictionis inveniet qui bonos malos et malos bonos dixerit (Isaia 5). L’anatemizzato è quindi “separato dal Corpo di Cristo”, cioè escluso del tutto dalla Chiesa e dalla sua comunione spirituale (mentre lo scomunicato ancora ne fa parte) e quindi viene parificato spiritualmente al pagano.

Lo scomunicato non è dispensato dai precetti religiosi (obbligo della Messa, della preghiera, di una vita cristiana), ma è solo impedito di partecipare alla vita sacramentale pur restando dentro la Chiesa. L’anatemizzato è come il tralcio secco della Vite tagliato, è “consegnato a Satana”, cioè escluso dalla Chiesa, quindi: in balìa del diavolo. Nonostante l’estrema durezza di questa denuncia-punizione spirituale resta intatta la natura correttiva e salvifica della stessa, sia per il condannato che per il gregge dei fedeli. L’ultima differenza fra scomunica e anatema è che l’anatema contro chi sovverte il Vangelo e i Dogmi della Fede non è revocabile, è irretrattabile nella sua autoperformatività sacrale, mentre la scomunica è revocabile contro chi si pente. Nell’anatema la condanna si carica di un’aura definitiva quale monito pubblico, solenne, come fosse l’“esorcismo” di un errore e il suo destinatario resta come prigioniero di questa separazione (già reale: solo “riconosciuta/denunciata” dall’anatema) e questo fino al giudizio del Signore. La sofferenza prodotta dall’anatema deve servire per correggere l’anima dell’anatemizzato, che la misericordia di Dio può sempre, nella sua sovranità, salvare. L’anatema è atto di chirurgia.