“Ho guardato il suo manto bianco scorrere sulle rive di piana e l'ho plasmato.
Ho avvertito la sua voce, una melodia lenta, eterna. Silenziosa, come il tempo.
Il suo canto, mi ha incantato”.
Una copiosa questione metamorfica e mitologica ha da sempre accompagnato l'opera di Francesco Ardini che, per la sua prima personale romana, assume i connotati di una riconsiderazione sull'origine del proprio fare. Decisamente più asciutto e sintetico rispetto ai primi progetti, Stige si elabora nell'immaginario dell'artista come un situazionismo prima topografico e poi formale, sviscerato da una lunga meditazione intorno al proprio luogo di lavoro. Nove e Bassano del Grappa sorgono in una piccola regione del nord est, attraversate dal corso del fiume Medoacus, chiamato così dagli antichi – oggi Brenta – sulle cui rive, verso i primi del Seicento, si riunì una comunità con lo scopo di lavorare l'argilla per la Repubblica veneziana. Il linguaggio dell'artista è caratterizzato dal forte legame con quella tradizione, memoria di una cultura antica, universo imponente rimasto fermo, immobile, a cui l'artista volge il proprio inchino per erigere i suoi monumenti funerei.
I Manufatti Fossili che occupano la prima sala espositiva, sono masse piene, corpi in gesso agglomerati in forme, impilate e poi sezionate. Il gesto necroscopico svela, oltreché la sagoma interna degli stampi, la volontà di Ardini di trasformare ciò che rimane di un manufatto archeologico, come rilievi portati alla deriva, dalla corrente. Questa progressione registra un approccio entropico verso la materia, la ceramica ora resta un lontanissimo ricordo, abbandonata quasi completamente, per accogliere la forma scultorea come solo svago alla complessità creativa. La mutazione insorge, portando a condividere nella volumetria, aspetti del figurato quanto del suo stesso confine.
Dislocato negli altri spazi della galleria, il percorso espositivo continua nella cristallizzazione di un procedere per forme e ambienti, situazioni che drammatizzano lo spirito labile dell'esistenza quanto della materia medesima. La visione si rende più intima; qui nuovamente l'artista altera le circostanze, la sagoma di un arto si frammenta, smembrato dalla propria figura si plasma in un solo corpo con altri oggetti recuperati dai laboratori artigianali, come una sedia o un tavolo.
Ogni opera assume un carattere antropomorfo, la cromatura rosacea ricorda la carne, il drappo lasciato cadere sulla tavola disegna l'impronta epidermica. Come brandelli umani, l'intero corpus di lavori proietta uno scenario di presenze quasi spettrali, desolate nello spazio, che diffondono l'ombra di un passato lontano. Stige scorre come quel fiume bianco. Lo sguardo dell'artista si carica di giudizio verso ciò che quella storia gli ha lasciato, un urlo silenzioso come il tempo.
Testo di Geraldine Blais Zodo
Francesco Ardini è nato a Padova nel 1986. Vive e lavora tra Nove e Padova. Si è laureato in Architettura, con specializzazione in Architettura del Paesaggio, nel 2011 presso lo IUAV di Venezia.
Mostre personali: Federica Schiavo Gallery, Roma, 2015; OHMYBLUE Gallery, Venezia, 2014; Jerome Zodo Contemporary, Milano, 2013; Museum of Ceramic Palazzo Botton, Castellamonte, Torino, 2013; Galleria Valentina Bonomo, Roma, 2012.