Il fotogramma, cioè l'immagine luminosa
ottenuta senza la macchina fotografica, è il segreto della fotografia.
In esso si rivela la caratteristica unica del procedimento fotografico.
Il fotogramma apre nuove prospettive su un linguaggio visivo
ancora completamente sconosciuto e governato da leggi proprie.László Moholy Nagy, 1936
Artista audace e poliedrico, Nino Migliori ha seguito, da protagonista, l’evoluzione linguistica della fotografia all’interno del contesto culturale italiano. Il suo esordio è negli anni del dopoguerra, quando la presenza ingombrante dell’industria cinematografica lo porta a confrontarsi con quel sentimento inedito di libertà ed entusiasmo che guidava la ricostruzione del Paese: è la scuola del Neorealismo. All’interno di questo movimento Migliori si distingue con una produzione capace di costruire un ponte espressivo con le Avanguardie europee. Certo, da fotografo neorealista, fa uso del bianco e nero e ritrae il mondo che lo circonda, ma già lavora per brevi sequenze, spostando la sua attenzione verso l’universo concettuale, che già da tempo aveva superato l’idea del “fotografico” specchio della realtà.
Dalle sequenze in scala di grigio all’esaltazione del particolare sulla pellicola a colori, il passo è breve e, proprio in questo passaggio, Nino Migliori inaugura il suo personalissimo percorso conoscitivo, fondato sulla sperimentazione che lo accompagna per tutta la sua carriera. Come nella successione di livelli esplorativi, le prime opere lasciano il passo alla riflessione sulla spontaneità del segno, colto sulle ruvide superfici urbane: è il momento di “Manifesti strappati” e “Muri”, realizzati negli anni a partire dagli anni ‘50. A seguire, la serie “Il tempo rallentato” approda all’esaltazione simbolica della natura e dei suoi frutti, nonostante l’incongruo rapporto con l’uomo che produce l’immagine di una “natura morta” ancora viva. Recentissima è, invece, la produzione di “Cuprum”, il lavoro inedito dell’artista bolognese, che si lascia stupire dalle tracce umide dei bicchieri di birra sui tavolini di un pub londinese. Il risultato è l’incanto e l’illusione di una favola che assume le variabili fisionomiche e cromatiche della luna.
La mostra “Nino Migliori – incanto e illusione” propone, in ordine cronologico, tutte queste opere, per esprimere e fare propria l’idea della continuità sperimentale, che nella produzione dell’autore bolognese si realizza su livelli (o strati) di stili e contenuti. Le fotografie proposte per questa rassegna, infatti, seppur raccontino solo una parte della straordinaria parabola creativa di Nino Migliori, riescono a ricostruirne con grande lucidità i numerosi approdi espressivi che, nel tempo, si sono susseguiti come input di nuove e moderne esplorazioni visive. L’identità fotografica è, di fatto, l’aspetto caratterizzante delle opere in mostra, tutte ispirate, per principio e per coerenza formale, a quelle leggi proprie che il grande Moholy Nagy, in seno al nascente Bauhaus, nel 1936, riconduceva a un linguaggio visivo ancora completamente sconosciuto. In questo senso, e attraverso l’instancabile sperimentazione tecnica e concettuale della sua produzione artistica, Nino Migliori si è sempre considerato un convinto sostenitore della ineluttabilità del cambiamento fotografico dovuto al suo essere tecnologia. Altrimenti, per dirla con le sue stesse parole, saremmo ancora fermi ai dagherrotipi. - Denis Curti
Nino Migliori (Bologna, 1926) inizia a fotografare nel 1948 svolgendo uno dei percorsi più diramati e interessanti della cultura dell’immagine europea. Gli inizi appaiono divisi tra fotografia realista, con una particolare idea di racconto in sequenza, e una sperimentazione sui materiali del tutto originali e inedita. Questo tipo di ricerca continuerà nel tempo coinvolgendo altri materiali e tecniche come polaroid e bleaching. Dalla fine degli anni Sessanta il lavoro di Migliori assume valenze concettuali, ed è questa la direzione che negli anni successivi tende a prevalere.
Nino Migliori è l’autore che meglio rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che da strumento documentario assume valori e contenuti legati all’arte, alla sperimentazione e al gioco.
Le sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private, fra le quali Mambo, Bologna; Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; CSAC, Parma; Museo d’Arte Contemporanea Pecci, Prato; Calcografia Nazionale, Roma; Museum of Modern Art, New York; Bibliothèque Nationale de France, Parigi; SFMOMA, San Francisco.