“Noi siamo nati alla fine della guerra del Vietnam e ci siamo svegliati con la guerra del Libano, poi quella dell’Iran contro l’Irak. Ci ha lasciati di stucco la guerra delle Malvine, poi abbiamo sentito la necessità di prendere la parola con la guerra in ex Jugoslavia. Le ecatombe del Ruanda hanno seguito la guerra del Golfo e preceduto le devastazioni in Kossovo. Non abbiamo ancora capito niente dei massacri in Algeria e nessuno ci ha parlato di Tibet e molto poco della Somalia. Siamo diventati adulti con l’inizio dell’Intifada di settembre del 2000 e il nostro mondo quotidiano è andato in pezzi contro la scogliera dell’11 settembre 2001”.
Questo è l’orizzonte temporale della generazione che aveva trent’anni nel 2000, la generazione di Wajdi Mouawad, drammaturgo e attore che ha riacceso la scena del teatro di una luce nuova e antichissima, la luce che del teatro è l’essenza. E’ la luce fatta sull’indicibile della storia, sul “cumulo mostruoso di dolore” che è sepolto in ciascuno di noi come i morti innumerevoli di cui è tomba il mare “nostro”. Perché quell’orizzonte temporale si prolunga identico a sud e a est di questo mare, come identica permane la nostra ordinaria rimozione, la nostra cecità, la nostra fuga dalla guerre “altrui”, anche quando sono vicinissime.
La “tetralogia della memoria” di Wajdi Mouawad, Il sangue delle promesse, di cui Incendi, lo spettacolo-cardine di questa stagione, costituisce la seconda parte, traduce in atto, e insieme traspone in idea, quella ricerca della verità nella Storia che non può rivelarsi che attraverso le storie e la ricerca della propria origine, della propria identità, del senso stesso della propria vita. Allora può avvenire il miracolo dalla catarsi, miracolo poetico ed esistenziale insieme. Da questo il titolo (L’infinito fratricidio - Capire il male: storia, memoria, catarsi) di quest’edizione completamente rinnovata del nostro Festival. Il suo orizzonte è ormai anche esplicitamente spalancato sull’attualità del mondo e quella delle nostre anime insieme – soprattutto quelle dei più giovani, che della vera e propria Odissea contemporanea, del viaggio al termine della notte cui Mouawad ci invita hanno bisogno come del pane e della trasparenza della poesia, per capire se stessi, per aprisi al futuro. “Ci sono verità che non possono essere rivelate che a condizione di essere scoperte”. Cioè, letteralmente, sottratte alla copertura di indifferenza emotiva che neutralizza l’informazione, comunque distratta, comunque ridicolmente incompleta o deformata.
Al centro del festival di quest’ anno è la tremenda realtà della guerra: e in primo luogo quella civile (la greca stasis), nera sorella della guerra non fraterna, il greco polemos. Entrambe, fin dagli inizi del pensiero umano sono il tema per eccellenza: come è cominciato tutto? Come nascono le opere e i giorni, l’ordine della vita civile, come implodono le civiltà, trasformando l’umano nell’orrore? Come si può sciogliere la catena della vendetta e della ritorsione, che pure ha origine – come la tragedia antica sa – dalla stessa radice della vita e dell’amore? Sempre una questione di fratelli, come Caino e Abele e Romolo e Remo. La guerra civile è sempre la stessa dovunque e in ogni tempo. Ma la prima lezione è che non c’è idea senza storia vissuta (o ricordata). O, come dice Mouawad, non c’è teatro /specchio del mondo senza Storia e senza storie. Senza racconto e memoria.
I “filosofi” di quest’anno ci aiuteranno a far luce su queste “scoperte” a partire da vocazioni intellettuali più che mai aperte all’esperienza, in alcuni casi sofferta in prima persona, del fratricidio umano. Con le armi della lingua e della cultura araba (Prima giornata -Religione e civiltà: il mondo arabo); con quelle della storia delle idee antiche e moderne sulla tragedia e il perdono (Seconda Giornata – La cognizione del dolore. Il tragico, la memoria, il perdono); con quelle, infine, della storia più profonda degli intrecci fra le culture mediterranee nei millenni e nella modernità (Terza Giornata – La storia e le storie. Realtà e narrative dei conflitti). -Roberta De Monticelli
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