Il ricordo di uno tra i più interessanti artisti italiani della sua generazione. Per la prima grande esposizione a lui dedicata dopo la prematura scomparsa, dal 28 marzo al 14 giugno 2015, le Fabbriche Chiaramontane (FAM) di Agrigento accolgono Endemico, mostra che omaggia il talento di Andrea Di Marco (Palermo, 1970-2012), animatore insieme a Fulvio Di Piazza, Alessandro Bazan e Francesco De Grandi della cosiddetta Scuola di Palermo, uno degli episodi più recenti e fortunati legati alla pittura figurativa italiana. Inaugurazione sabato 28 marzo, ore 18.30.
Trenta le opere scelte da Alessandro Pinto e Alberto Zanchetta, curatori della mostra organizzata dall’associazione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento (che dal 2001 gestisce ad Agrigento gli spazi delle FAM) e dall’Archivio Andrea Di Marco per raccontare la parabola artistica di Di Marco. Con particolare riferimento alla sua produzione più recente, partendo dal fondamentale Big Boy dipinto nel 2008 per la XV Quadriennale di Roma e arrivando alle ultime tele, diverse delle quali in prestito da collezioni private estere e per la prima volta esposte in Italia.
“Scuola” di nome ma non di fatto quella palermitana, etichetta critica a tratti anche sofferta dai suoi protagonisti: forti di spiccate individualità, orgogliosi di una pluralità di voci capace però di esprimersi in modo corale; uniti da un solido rapporto umano, da un’amicizia che andava oltre il semplice confronto e scambio tra artisti. Lo dimostrò, nel 2001, la fondamentale mostra Palermo Blues, collettiva che segnò ai Cantieri della Zisa un momento di straordinaria vivacità per la scena artistica del capoluogo. E non solo. Per questo la mostra di Agrigento appare come l’abbraccio, da parte della sua terra, ad un artista che ha saputo tratteggiarne gli aspetti più intimi e delicati.
Nelle tele di Andrea Di Marco non c’è la Sicilia delle antiche tradizioni popolari, delle ritualità, della vibrante e contagiosa socialità che si respira nei vicoli delle sue nobili e affascinanti città. Eppure ogni inquadratura, ogni scorcio, è inequivocabilmente e magnificamente siciliano: lo sono i frammenti urbani di struggente malinconia, gli anonimi brandelli di periferie, spesso sospesi nella caligine di interminabili estati mediterranee. Stazioni di servizio, parcheggi e cortili elevati ad aree di scavo da cui emergono lacerti di commosse archeologie contemporanee.
L’Uomo non compare mai nelle opere di Di Marco. Ma la sua è un’assenza simulata, fittizia, perché si manifesta nel pietoso imbarazzo di oggetti spogliati della propria funzione: esauste pompe di benzina e scheletrici banchetti di ambulanti, sedie e poltrone abbandonate sul marciapiede in attesa della discarica, ombrelloni ripiegati, saracinesche abbassate, roulotte e Ape Car posteggiati sul ciglio di strade deserte.
Alla mostra, che ha il patrocinio del Comune di Agrigento, è dedicato un ampio catalogo (Silvana Editoriale) con i saggi critici dei curatori, Alessandro Pinto e Alberto Zanchetta.